Il lavoro agile o smart working non è una diversa tipologia di rapporto di lavoro, bensì una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato introdotta al fine di incrementare la competitività e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
La disciplina di riferimento è la Legge 22 maggio 2017, n. 811 (articoli 18-24), come da ultimo modificata dalla Legge 4 agosto 2022, n. 122 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 giugno 2022, n. 73, c.d. Decreto Semplificazioni), secondo la quale il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (art. 18, comma 1).

La legge di Bilancio 2023 all’art. 1, comma 306, Legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto che fino al 31 marzo 2023, per i cosiddetti lavoratori fragili, dipendenti pubblici e privati, il datore di lavoro assicura lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento, ferma restando l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove più favorevoli.
I soggetti “fragili” ovvero coloro che sono affetti dalle patologie e condizioni individuate dal Decreto del Ministro della Salute di cui all’art. 17, comma 2, del D.L. 24 dicembre 2021, n. 221 (convertito con modificazioni in L. 18 febbraio 2022, n. 11) che saranno autorizzati dal proprio datore di lavoro a svolgere lo smart working, saranno inseriti nella piattaforma online del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali denominata “Smart working semplificato“.
Questa modalità di comunicazione dovrà essere utilizzata fino al 31/01/23 unicamente per i lavoratori “fragili” per periodi di lavoro agile con durata “collocata” non oltre il 31 marzo 2023.
Lo smart working, è un’opportunità non solo per le aziende, ma anche per il mondo della Pubblica amministrazione. Lo abbiamo scoperto in maniera esponenziale con la pandemia Covid-19 che ha segnato il 2020.
Trattasi di un profondo cambiamento culturale, una revisione radicale del modello organizzativo dell’azienda (pubblica o privata) e il ripensamento delle modalità che caratterizzano il lavoro non solo fuori ma anche all’interno dell’azienda, cosa che si ripercuote anche sull’organizzazione degli spazi, che devono essere ripensati e sempre più ispirati ai principi di flessibilità, virtualizzazione, collaborazione tra le persone.
Pensiamo agli open space che favoriscono il lavoro collaborativo, agli spazi di coworking e ai fab lab che rispecchiano la sempre maggiore diffusione del lavoro in mobilità e l’esigenza di contaminazione, alle huddle room, ambienti di dimensioni ridotte appositamente progettate e allestite per ospitare riunioni virtuali tra team di lavoro.
Si parla di “workplace change management”, un cambiamento organizzativo che passa anche attraverso la rivisitazione e riprogettazione degli spazi.
Che differenza c’è con il telelavoro?
Lo smart working non è telelavoro anche se spesso si tende ancora a fare confusione e a sovrapporre queste due modalità di gestione del rapporto lavorativo, ma la differenza è sostanziale.
Sono passati più di 20 anni dalla legge che prevedeva per le amministrazioni pubbliche la possibilità di avvalersi di forme di lavoro a distanza: mi riferisco alla legge n. 191 del 1998 che all’art. 1 comma 1 recita: “allo scopo di razionalizzare l’organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l’impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, possono avvalersi di forme di lavoro a distanza”. A tal fine, possono installare, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempimento della prestazione lavorativa…
Il 23 marzo 2000 è stato stipulato l’Accordo quadro nazionale per l’applicazione del telelavoro ai rapporti di lavoro del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni. Infine, con la circolare INPS n. 52 del 27 febbraio 2015 (“Disposizioni attuative dell’Accordo Nazionale sul progetto di telelavoro domiciliare”) vengono illustrate le attività interessate e le modalità di attivazione del telelavoro, con particolare riferimento alle misure di prevenzione e protezione.
In sintesi, il telelavoro prevede lo spostamento (in tutto o in parte) della sede di lavoro dai locali aziendali ad altra sede (tradizionalmente l’abitazione del lavoratore), ma il dipendente è vincolato, comunque, a lavorare da una postazione fissa e prestabilita, con gli stessi limiti di orario che avrebbe in ufficio.
Il carico di lavoro, gli oneri e i tempi della prestazione, insomma, devono essere equivalenti a quelli dei lavoratori che svolgono la prestazione all’interno del posto di lavoro.
Il lavoro agile invece, prevede che la prestazione lavorativa venga eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, ma senza stabilire una postazione fissa.
Non ci sono vincoli di spazio e tempo, l’unico vincolo sono i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Si può lavorare da qualsiasi luogo (dentro e fuori l’azienda), non si timbra un cartellino, non si fanno pause in orari predefiniti.

L’azienda e il dipendente ridefiniscono in maniera flessibile le modalità di lavoro, quello su cui ci si focalizza è il raggiungimento di obiettivi e risultati.
Con la Direttiva n. 3 del 2017 in materia di lavoro agile a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e della Ministra Madia possiamo dire che si avvia ufficialmente la stagione del “lavoro agile” nelle Pubbliche Amministrazioni.
La Direttiva contiene in pratica gli indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 1243, che delegava il Governo alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, prevedendo l’introduzione di nuove e più agili misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei propri dipendenti. E contiene le linee guida per la nuova organizzazione del lavoro, finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.
Le finalità dichiarate sono quelle dell’introduzione delle più innovative modalità di organizzazione del lavoro, basate sull’utilizzo della flessibilità, sulla valutazione per obiettivi, sulla rilevazione dei bisogni del personale dipendente, il tutto alla luce dei bisogni di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
L’articolo 14 della Legge 7 agosto 2015, n. 124 stabilisce che le amministrazioni adottino misure tali da permettere, entro tre anni, ad almeno il 10% delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici che lo richiedano di avvalersi delle nuove modalità di lavoro agile, mantenendo in ogni caso inalterate le opportunità di crescita e di carriera per questi lavoratori.
Viene anche precisato che l’adozione di queste misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi descritti costituiscono oggetto di valutazione nell’ambito dei percorsi di misurazione della performance sia organizzativa che individuale all’interno di ogni ente.
Insomma, lo smart working è una leva di cambiamento per le PA e i suoi lavoratori e permette di combattere la “burocrazia difensiva”, perché consente di andare oltre l’adempimento, promuove la collaborazione, la programmazione, la gestione e i risultati. Mette al centro le persone, all’interno di un progetto più ampio di “people strategy”, che punta sulla valorizzazione delle persone e sulla fiducia tra lavoratori e amministrazione.
Lo smart working impatta poi anche sui temi della sostenibilità e, in questo caso, è più immediato l’accostamento al telelavoro, che già consentiva, ad esempio, risparmi nei consumi elettrici all’interno degli uffici e una riduzione nelle emissioni di CO2 grazie alla diminuzione del traffico legato agli spostamenti per raggiungere il posto di lavoro. Ovviamente tutti questi benefici avrebbero un peso maggiore se lo smart working si diffondesse in tutti gli uffici.