Questo articolo riguarda l’interscambio, vale a dire quell’istituto giuridico mediante il quale due o più dipendenti pubblici possono scambiare la sede di lavoro presso la quale si lavoro per accettarne un’altra sicuramente più confacente alle proprie esigenze.
Il rapporto di lavoro nel pubblico impiego ha come oggetto il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, costituito dall’apporto di una persona fisica che presta la propria attività di ufficio dietro corrispettivo, assumendo su di sé uno status di diritti e doveri.
L’accesso all’impiego nella pubblica amministrazione avviene, ai sensi del comma 4, dell’art. 97 della Costituzione, mediante concorso, salvo i casi stabiliti per legge.
L’interscambio nel lavoro pubblico non è soggetto a nulla osta preventivo ma a quello successivo sicché, nonostante gli sforzi del dipendente nel ricercare e trovare un collega disponibile, l’amministrazione pubblica può dire sempre No motivando però il provvedimento.
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La mobilità per interscambio come funziona?
La mobilità per interscambio funziona come uno scambio di ruoli vero e proprio: un dipendente cede l’incarico a un altro e viceversa.
Si parla anche di mobilità volontaria facendo riferimento a quello strumento attraverso il quale il dipendente pubblico chiede il trasferimento ad altra amministrazione avendo però a disposizione il nulla osta del datore di lavoro cedente.
La mobilità compensativa, anche detta interscambio, trova disciplina nell’art. 7 del D.P.C.M. 325 del 1988 che prevede che i dipendenti pubblici possano scambiarsi tra loro, pur appartenendo a diverse pubbliche amministrazioni. Normalmente, la una mobilità compensativa si concretizza quando entrambi i dipendenti fanno richiesta alla rispettiva amministrazione di appartenenza in base a problematiche gestionali.
Si augura che le amministrazioni pubbliche curano l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale: L’interscambio è un ottimo sistema per coniugare le proprie esigenze personali e professionali con quelli dell’amministrazione, in quanto lo svantaggio dovuto alla perdita di una risorsa per l’amministrazione è nullo.
Questo è uno dei motivi cardini per cui una pratica di mobilità compensativa ha maggiori probabilità di successo rispetto alla mobilità volontaria, proprio perché non si pone in antinomia né con l’art. 14 della 26/2019 e né con il comma 5 bis dell’art. 35 del d.lgs. 165/2001, anzi con lo scambio di sedi lavorative tra i lavoratori chi ne beneficia è soprattutto l’amministrazione, la quale acquisisce risorse lavorative vicine al suo territorio, ne consegue il miglioramento delle perfomance dei suoi dipendenti che riducono i tempi di attesa per raggiungere il posto di lavoro, e da ciò anche l’ambiente ne beneficia con la riduzione dell’inquinamento per diminuzione dei trasporti.