Riorganizzazione del personale e degli uffici e stress sul posto di lavoro

Quanti di voi si sono trovati nella situazione in cui i manager delle enti pubblici, provvedendo a riorganizzare gli uffici e il personale, secondo il loro modo di pensare, causano stress e danni ai dipendenti pubblici.

Che sia il segretario generale o comunale o il direttore generale, queste riorganizzazione andrebbero fatte di concerto con le associazioni sindacali, RSU e dipendenti interessati a spostamenti di ufficio. Ma invece non è così, nelle pubbliche amministrazioni si continua a spostare pubblici dipendenti, senza preavviso informale, senza ascoltare le esigenze di benessere lavorativo.

Non va bene, i ruoli bene pagati nelle pubbliche amministrazioni, vedi i direttori generali che guadagnano 17.000 euro al mese, i segretari dagli ottanta ai 100.000 € annui, quando devono effettuare scelte di riorganizzazione del personale devono pensarci più volte, in primis al personale stesso che in realtà e nella pratica manda avanti le attività di ufficio, in ultimo al raggiungimento degli obiettivi della riorganizzazione se effettivamente vale la pena farlo.

Sia chiaro, gli obiettivi devono riguardare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa.

All’uopo interviene la Corte affermando che (Sez. L – , Ordinanza n. 3692 del 07/02/2023, Rv. 666621 – 01), in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di “mobbing”, per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi, e che (da ultimo, Cass.n. 15957 del 7.6.2024; Cass. n. 3822 del 12.2.2024; n. 4664 del 21.2.2024) un ambiente lavorativo stressogeno è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087 c.c.

In sintesi, il datore di lavoro, anche se adotta comportamenti che normativamente hanno una copertura, se questi comportamenti contribuiscono a peggiorare l’ambiente di lavoro e cagionare stress, ne è responsabile. Dunque, il datore di lavoro deve evitare, visto il proprio ruolo, dall’alto dell’esempio che deve conferire, comportamenti inopportuni, provocatori che possano determinare stress in situazioni soprattutto di conflittualità con i propri dipendenti.

Il lavoratore più fragile va tutelato maggiormente, altrimenti si rischia responsabilità per stress e danno alla salute

La Corte di Cassazione nella sentenza in commento n° 123 del 4 gennaio 2025, rileva che l’art. 2087 c.c. trova applicazione a protezione del lavoratore in ogni caso, e ciò anche verso i lavoratori più deboli, sicché la maggiore fragilità del lavoratore incrementa e non attenua gli obblighi datoriale di protezione da fattori morbigeni o stressogeni dell’ambiente lavorativo.

Il compito del dirigente delle risorse umane in questi contesti?