Sul rifiuto di svolgere mansioni superiori è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione dichiarando illegittimo il licenziamento del dipendente pubblico che si rifiuta di svolgere mansioni superiori quando esse sono estranee alla sua qualifica e comportino responsabilità maggiori anche di tipo penale.
L’articolo 52 del decreto legislativo 165/2001 infatti nel prevedere espressamente la facoltà da parte della Pubblica Amministrazione di adibire il dipendente a mansioni superiori individua i criteri specifici che devono sussistere e li circoscrive ad ipotesi tassative:
- nel caso di vacanza di posto organico;
- nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto.
Si considera svolgimento di mansioni superiori soltanto l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni. La norma nulla dice nell’eventualità che il dipendente pubblico rifiuta di accettare lo svolgimento di mansioni superiori. Si ritiene che nei casi 1 e 2 il pubblico impiegato non debba rifiutarsi.
Nel lavoro pubblico potrebbe essere legittimo un rifiuto qualora le mansioni attribuite comportino anche se solo temporaneamente, l’assunzione di responsabilità di ulteriori rispetto a quelle derivanti dall’esercizio delle attività confacenti all’inquadramento posseduto.