Nel Pubblico impiego, non da tutte le parti, ma in alcuni uffici, sta capitando che alcuni dipendenti pubblici fanno richiesta di smart working, ma poi dalla richiesta ai fatti passano mesi per iniziare lo smart.
Bene, questo è il solito comportamento di ostacolo di chi è gerarchicamente superiore e di chi vuole utilizzare e sfruttare il personale dipendente non rispettando la legge.
Da subito si ribadisce e suggerisce al dipendente pubblico che si trova in queste situazioni, si a per colpa del proprio dirigente, o per colpa della posizione organizzativa che fa da filtro ostacolo, ovvero per colpa del responsabile apicale, di adire le vie giudiziarie per far condannare la PA, in persona del personale che si presta ad ostacolare la richiesta di smart working fatta dall’impiegato.
Si ricorda ancora, come è ben noto a tutti, che il lavoro agile, in questo periodo è una prerogativa.
Per i lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, l’art. 1, comma 1, n. 6) del D.P.C.M. 11 marzo 2020 prevede espressamente che lo smart working rappresenta la “modalità ordinaria” di esecuzione della prestazione lavorativa e che tale modalità può essere adottata anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui alla Legge 22 maggio 2017, n. 81.
Le pubbliche amministrazioni, inoltre, devono specificare le attività “indifferibili” da rendere “in presenza”, ossia quelle attività per le quali il lavoro agile è incompatibile ed è, dunque, necessaria la presenza fisica del lavoratore presso la sede di lavoro.
Nel pubblico impiego, dunque, il lavoro “in presenza” costituisce un’eccezione.
Da quanto sopra discende, evidentemente, la sussistenza di un diritto soggettivo del lavoratore pubblico a rendere la prestazione in modalità smart working, diritto che potrà pertanto essere rivendicato, anche in via giudiziale, dal lavoratore in caso di rifiuto/diniego del datore di lavoro pubblico all’adozione del lavoro agile.
Ciò a condizione, evidentemente, che non si tratti di un’attività lavorativa indifferibile da rendere “ in presenza” e, dunque, direttamente presso la sede di lavoro.