Il legislatore per favorire lo sviluppo del lavoro pubblico part time ha stabilito che i dipendenti pubblici con regime orario non superiore al 50% possono esercitare libere professioni come quella di avvocato con due limitazioni: non conferire a tali dipendenti incarichi professionali e assumere il patrocinio legale in controversie nelle quali è parte la Pubblica amministrazione.
Sono le singole amministrazioni, locali e non, che devono regolamentare i casi di conflitto di interesse, di incompatibilità assoluta per interferenza con compiti istituzionali. Ma attenzione e senza illusioni il quadro normativo è stato modificato ed è stata introdotta l’incompatibilità tra esercizio della professione di avvocato e pubblico impiego anche part time. Per coloro che già avevano ottenuto l’iscrizione nell’albo degli Avvocati dopo la data di entrata in vigore della legge n. 662 del 1996, l’articolo della legge pone la seguente disciplina transitoria:
a) opzione per il mantenimento del rapporto di impiego, da comunicare al consiglio dell’ordine d’iscrizione entro trentasei mesi pena la cancellazione dall’albo, con diritto alla reintegrazione nel rapporto di lavoro;
b) opzione, entro lo stesso termine, per la cessazione del rapporto di impiego e conseguente mantenimento dell’iscrizione all’albo degli avvocati salva la conservazione per un ulteriore quinquennio del diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta.
La Corte di Cassazione con sentenza numero 11833 del 16 maggio 2013, ha escluso che le sopravvenienze normative non possono determinare abrogazioni tacite di disposizioni normative e che pertanto l’incompatibilità tra pubblico impiego part time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro del pubblico dipendente.
La Corte di Giustizia Europea ha affermato che non censurabili le restrizioni imposte dalla normativa italiana all’esercizio della professione forense. L’autonomia dell’avvocato va infatti tutelata e le disposizioni della legge n. 339/2003 si applicano sia agli avvocati con cittadinanza italiana sia a quelli di altri Stati membri iscritti in Italia evitando quindi una discriminazione al contrario. Infine le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto che non ostano ad una normativa nazionale che neghi ai dipendenti pubblici impiegati in una relazione di lavoro a tempo parziale l’esercizio della professione di avvocato, anche qualora siano in possesso dell’apposita abilitazione e disponga la loro cancellazione dall’Albo degli avvocati
Questo si spiega per il rilievo decisivo di ogni altra considerazione che l’incompatibilità tra impiegato pubblico part time ed esercizio della professione forense risponde ad esigenze specifiche di interesse pubblico correlate proprio alla peculiare natura di tale attività privata ed ai possibili inconvenienti che possono scaturire dal suo intreccio con le caratteristiche del lavoro pubblico dipendente.
Infatti la legge n. 339/2003 è finalizzata a tutelare interessi di ragno costituzionale quali l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione e l’indipendenza della professione forense onde garantire l’effettività del diritto di difesa.