Lo smart working non significa assolutamente no working, l’importante è che gli enti pubblici e le PA offrono gli strumenti operativi per lavorare.
Il lavoro smart coniuga i tempi con la vita privata consentendo al dipendente pubblico di prestare la sua attività anche da casa. Secondo il Politecnico di Milano i dipendenti pubblici che usufruiscono dello smart working sono il 7% dei lavoratori tra quadri e dirigenti e peraltro risultano più soddisfatti rispetto agli impiegati statali che non hanno la fortuna di usufruirne.
Come già detto in un altro articolo, ci sono ancora enti che pur tentando di adottare lo smart tuttavia non riescono, per loro inefficienza, a far utilizzare ai propri dipendenti pubblici i software o programmi che si usano in ufficio.
C’è da dire anche che lo smart working andava adottato nelle pubbliche amministrazioni già dal 2017 con la riforma Madia, ma sono stati pochi gli enti che lo hanno fatto.
Durante il periodo del lockdown comunque si è cercato in tutti i modi di garantire che la Pa riuscisse ad andare avanti nella propria attività, infatti anche il Ministro Dadone afferma che l’erogazione dei servizi c’è stata – ha spiegato – e non ci sono state delle problematiche enormi, lo si legge anche sul sito Rai News.
Lo smart working a regime sarà qualcosa di diverso, sarà un lavoro agile che non prevede al lavoratore 5 giorni su 5 di stare a casa, prevede una gestione di spazi differenti e luoghi comuni, prevede magari la possibilità di uno o due giorni a settimana di lavorare non necessariamente da casa, stiamo pensando a dei poli di innovazione dove potranno lavorare dei lavoratori in smart working”, ha aggiunto il Ministro.
Lo smart working è stato invece molto utile nella fase di emergenza nonostante i pettegolezzi vari da populismo, infatti si sono salvati e mantenuti molti posti di lavoro.