Quando si parla di mobilità interna va considerato anche lo jus variandi inteso quale potere del datore di lavoro di modificare la prestazione/mansioni del lavoratore nel pubblico impiego.
Innanzitutto per mansioni si intende l’insieme di compiti che il lavoratore è tenuto ad adempiere in esecuzione del contratto di lavoro.
Nell’impiego pubblico i contratti collettivi di comparto disciplinano l’ordinamento professionale attraverso un sistema di classificazione del personale che fa riferimento alle declaratorie. Negli enti locali il sistema di classificazione del personale impiegato classifica 4 categorie di dipendenti pubblici: A, B, C, D. Le declaratorie descrivono l’insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse come i titoli e le competenze, mentre i profili professionali descrivono il contenuto delle mansioni.
Jus Variandi e mobilità interna
Ma come accennavo prima va preso in considerazione in caso di mobilità nel pubblico impiego lo jus variandi sicché va precisato che i dipendenti pubblici devono essere adibiti alle mansioni per le quali sono stati assunti o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento. I pubblici dipendenti con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in tre distinte aree funzionali.
Si registra così una cristallizzazione della classificazione professionale per aree professionali omogenee. In materia di pubblico impiego privatizzato l’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001 sancisce che il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti ha recepito un concetto di equivalenza formale legato alle previsioni contrattualistiche CCNL e non sindacabile dal giudice.
La Cassazione onde evitare che questo concetto perda i suoi connotati giuridici e bastardizzato dal potere discrezionale della pubblica amministrazione aggiunge un’ulteriore importante specificazione in ordine al concetto di prevalenza, ossia che lo svolgimento di mansioni inferiori (per esigenze organizzative per esempio) che comporta un’impiego di energie lavorative di breve durata, non incidono sullo svolgimento in modo prevalente ed assorbente delle mansioni di appartenenza.
Mansioni inferiori del dipendente pubblico
Quindi il dipendente pubblico può essere adibito a mansioni inferiori quando queste richiedono un impiego di energie lavorative di breve durata e che non incidono sullo svolgimento in modo prevalente delle mansioni ordinarie.
In conclusione, l’adibizione del lavoratore pubblico a mansioni inferiori non viola i limiti esterni dello jus variandi, nè frusta la funzione di tutela della professionalità qualora l’attività prevalente ed assorbente del lavoratore rientri fra le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza e purché si tratti di mansioni che oltre ad essere marginali ed accessorie, rispetto a quelle di competenza, implicano un circoscritto impegno temporale.