L’attribuzione delle mansioni superiori nel pubblico impiego.

La prima regola è che l’inquadramento in categoria superiore e correlato svolgimento di funzioni e compiti corrispondenti può avvenire solo in base al contratto collettivo di lavoro, a fronte di un atto di macro-organizzazione con il quale l’amministrazione ha adattato la propria struttura organizzativa alle mutate esigenze, ha individuato posizioni dotazionali di livello più elevato ed a queste si accede solo a seguito del superamento di prova selettiva.

Al di fuori dei casi consentiti (art. 52 testo unico del pubblico impiego), ovvero nella fattispecie dello svolgimento “di fatto” di mansioni superiori, il lavoratore ha diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione.

Il  diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (Cass. n. 19812 del 2016; Cass. n. 18808 del 2013), sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266 del 2016; v. pure Cass. n. 30811 del 2018).

Rapporto di lavoro – mansioni superiori – disciplina

Dall’ordinanza del Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 28 ottobre 2020, n. 2478, pubblicata il 3 febbraio 2021, si evincono i consolidati principi normativi e giurisprudenziali che regolano l’attribuzione delle mansioni superiori nel pubblico impiego, in base alle previsioni dell’art. 52 del d.lgs. 165/2001.

La prima regola è che l’inquadramento in categoria superiore e correlato svolgimento di funzioni e compiti corrispondenti può avvenire solo in base al contratto collettivo di lavoro, a fronte di un atto di macro-organizzazione con il quale l’amministrazione ha adattato la propria struttura organizzativa alle mutate esigenze, ha individuato posizioni dotazionali di livello più elevato ed a queste si accede solo a seguito del superamento di prova selettiva.

Al di fuori dei casi consentiti (citato art. 52), ovvero nella fattispecie dello svolgimento “di fatto” di mansioni superiori, il lavoratore ha diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 della Costituzione; pertanto: “Il  diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione (Cass. n. 19812 del 2016; Cass. n. 18808 del 2013), sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento (Cass. n. 24266 del 2016; v. pure Cass. n. 30811 del 2018)”.

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