Per il triennio 2018-2020 le Pubbliche Amministrazioni al fine di valorizzare le professionalità interne possono attivare procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo fermo restando però il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero dei posti per tali procedure selettive riservate non può superare il venti (20) per cento di queli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. In ogni caso l’attivazione di queste procedure selettive riservate determina, in relazione al numero di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini dell progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislative n. 165 del 2001.
Tali procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonché l’eventuale superamento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore”.
Tale disposizione, quindi, ha reintrodotto solo per il triennio 2018- 2020 un sistema di passaggio alla categoria superiore, somigliante alle progressioni verticali a suo tempo abolite dal d.Igs. 150/2009 (c.d. riforma Brunetta), attuativo della legge delega 4 marzo 2009, n. 15. A ben guardare, quindi, il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto nuove norme riguardanti la materia delle progressioni economiche e di carriera, che di seguito st riportano nella formulazione di recente modificata dagli art. 15 e 16 del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74:
Art. 23 “Progressioni economiche”
Le Amministrazioni Pubbliche riconoscono selettivamente le progressioni economiche di cui all’articolo 52, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 200 I, n. 165, sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi nazionali e integrativi di lavoro e net limiti delle risorse disponibili. Le progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione.
Art. 24 “Progressioni di carriera”
Le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni. L’attribuzione dei posti riservati al personale interno e finalizzata a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, in relazione alle specifiche esigenze delle Amministrazioni. Il decreto Brunetta, a seguito dell’abuso dell’istituto delle progressioni verticali verificatosi nel decennio precedente, ha imposto la regola della progressione di carriera mediante partecipazione a concorsi pubblici, con una riserva di posti alle professionalità interne non superiore al 50%. Facciamo un passo indietro, prima di esaminare il nuovo assetto normativo ed il contesto in cui le medesime norme operano.
Partiamo dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 3569 del 28 giugno 2011, che nel ribadire il principio espresso dalla Cassazione, seconds cui: “in regime di impiego pubblico privatizzato la garanzia del concorso pubblico ex art. 97 Cost. riguarda anche il passaggio dei dipendenti ad una fascia superiore restando esclusa qualsivoglia rilevanza al mero pregresso svolgimento di mansioni superiori o al possesso di titolo di studio per il conseguimento di un avanzamento automatico”, non ha fatto altro che confermare l’irrilevanza del pregresso svolgimento di mansioni superiori ai fini della progressione verticale. Rileva, dunque, l’art. 97 Cost., in base al quale “agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
Deroghe alla regola del concorso da parte del legislatore sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione o di realizzare altri principi di rilievo costituzionale, che possono assumere una certa rilevanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati: ad esempio, quando si tratta di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi. Anche i c.d. concorsi interni, inizialmente previsti dall’art. 24, comma 6, del d.P.R. n. 347/1983, sono stati tacitamente abrogati da successivi interventi del legislatore, così affermandosi il principio per cui l’accesso al pubblico impiego deve avvenire inderogabilmente per concorso pubblico aperto a tutti, senza tener conto delle legittime aspirazioni dei dipendenti più meritevoli.
Senonché la legge Bassanini bis ha opportunamente ripristinato i concorsi interni, seppure limitatamente a posti “caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all’interno dell’ente”: la ratio era quella di fornire alla Pubblica Amministrazione idonei strumenti di incentivazione, consentendo la rivalutazione di esperienze professionali specifiche maturate in determinate posizioni di lavoro, che a volte rappresentano una condizione necessaria per svolgere i compiti di una posizione di livello superiore.
La legittimazione delle selezioni interne per favorire lo sviluppo professionale del personale già incardinato presso la Pubblica Amministrazione ha trovato il fondamento nelle seguenti norme:
– art. 35, comma 1, lett. a), del d.1gs. n. 165/2001 (nella formulazione introdotta dal d.lgs. n. 80/1998) che, nel prescrivere che l’accesso ai posti di impiego delle Pubbliche Amministrazioni deve avvenire “mediante procedure selettive che garantiscono in misura adeguata l’accesso dall’esterno, ha previsto che una ulteriore quota di posti potrebbe es sere destinata all’accesso dall’interno, e quindi al personale già con rapporto di lavoro istituito a seguito di una selezione pubblica;
– art. 52, comma 1, del d.1gs. n. 165/2001 (nella formulazione introdotta dal d.lgs. n. 80/1995), che ha affermato il diritto del prestatore di lavoro alle mansioni per le quaIi è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nelll’ambito della classificazione professionale prevista dei contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali e selettive (legittimando in tal modo l’acquisizione di una qualifica o categoria superiore in correlazione ai sistemi di sviluppo professionale e non necessariamente alle procedure concorsuali).
L’ordinamento professionale dettato dal CCNL del 31 marzp 1999 ha generalizzato in un certo senso la possibilità di prevedere il passaggio di un dipendente da una categoria all’altra, nel rispetto del quadro costituzionale. Questo è avvenuto applicando correttamente i principi fissati dal legislatore, introducendo e disciplinando per via negoziale lo sviluppo professionale del personale, prevedendo una metodologia innovativa rispetto al sistema precedente che di regola consentiva solo la riserva di una quota dei posti dei concorsi pubblici al personale interno della categoria superiore. In particolare, l’art. 4, comma 1, del CCNL, richiamando il vincolo del suddetto art. 35, ha riconosciuto il potere degli enti di disciplinare le procedure selettive per le progressioni verticali, nel rispetto dei posti vacanti della dotazione organica e non destinati all’accesso dall’esterno.
Si segnala tuttavia, che molti enti hanno disatteso il richiamo ai principi del suddetto art. 35.
Anche gli orientamenti dell’Avvocatura generale dello Stato, che, tramite pareri espressi nel corso del 2002, ha evidenziato che:
a) la copertura dei posti scoperti deve realizzarsi in misura maggiore con il concorso pubblico, riservando quindi una percentuale minore ai dipendenti già in servizio e consentendo l’accesso a tali meccanismi ai dipendenti, già utilizzati in mansioni superiori rispetto alla qualifica posseduta ed in possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso alla qualifica superiore di cui trattasi, escludendo quindi la considerazione prevalente dell’anzianità di servizio;
b) non si deve riservare al personale già in servizio una percentuale di posti (di qualifica superiore) così prevalente rispetto al totale, tale da vanificare la regola del concorso pubblico di posti superiori, rimpiazzato in questo modo con un sistema di diversa natura, consistente nello scivolamento verso l’alto di chi già è in servizio, mentre è possibile prevedere il concorso riservato agli “interni” quando ha una giustificazione alla base ed è comunque organizzato in modo da garantire il pubblico interesse alla scelta dei migliori.
Lart. 9 del CCNL sottoscritto il 5 ottobre 2001, ha confermato che “in materia di progressione verticale del personale nel sistema di classificazione è integralmente ed esclusivamente confermata la disciplina dell’art. 4 CCNL del 1999, mentre nella dichiarazione congiunta n. 1, allegata al CCNL del 22 gennaio 2004, si è inteso che le diverse espressioni utilizzate, come concorsi interni, selezioni interne, passaggi interni, ecc., sono da ritenersi come equivalenti anche quando dovessero riguardare la copertura di posti caratterizzati da una professionalità acquisibile esclusivamente dall’interno, e che l’espressione formalmente corretta deve essere “progressione verticale nel sistema di classificazione”, utilizzata nel citato art. 4. In materia di progressioni verticali, dunque, la norma contrattuale applicata è stata quella di cui all’articolo 4 del CCNL 31 marzo 1999, dove si afferma che gli enti disciplinano, attraverso i propri ordinamenti, le procedure per il passaggio dei dipendenti alla categoria superiore.
Con la progressione verticale, il dipendente acquisisce il superiore profilo professionale a seguito di prova selettiva o concorsuale interna e quindi assume le corrispondenti mansioni, attraverso una modificazione parziale del rapporto di lavoro già in essere, cioè senza che ciò comporti la cessazione del precedente rapporto di lavoro nella categoria inferiore e l’inizio di un rapporto nuovo nella categoria superiore: permangono, pertanto, i diritti e gli obblighi correlati al rapporto pregresso per tutti gli istituti contrattuali previsti.
Lo stesso art. 4 del CCNL 31 marzo 1999 non disciplina l’aspetto procedurale della selezione, anzi lo rinvia esplicitamente ad atti unilaterali dei singoli enti; nel comma 5, inoltre, esclude l’assoggettamento al periodo di prova del personale riclassificato a seguito di progressione verticale. La disciplina delle progressioni orizzontali all’interno della categoria, per il personale del Comparto Regioni-Autonomie locali, è contenuta, invece, nell’art. 5 del contratto del 31 marzo 1999, il quale individua una serie di criteri in base ai quali gli enti devono effettuare la selezione del personale che, nel rispetto del limite delle risorse disponibili per finanziare l’istituto della progressione economica, può accedere al consegui- mento del beneficio.
È demandato al successivo art. 6 l’obbligo di adottare metodologie permanenti per la valutazione delle prestazioni e dei risultati dei dipendenti, di competenza dei dirigenti, anche ai fini della progressione economica. Tale progressione, si fonda su criteri selettivi e meritocratici stabiliti (escludendo perciò qualsiasi automatismo) ed è legata alle risultanze del sistema di valutazione adottato dall’ente.
La progressione orizzontale, inoltre, assume una valenza esclusivamente economica e si concretizza nell’acquisizione di incrementi retributivi da parte del lavoratore, che continua a svolgere le medesime mansioni del profilo professionale posseduto e, quindi, non cambia la sua posizione giuridica e il suo ruolo all’interno del modello di organizzazione dell’ente. Attraverso la progressione orizzontale, in pratica, non vengono a mutare le mansioni de lavoratore e neanche si acquisiscono mansioni superiori: si tratta di una forma di miglioramento di carriera, da taluni definita “a mestiere invariato”, di cui è destinatario il pubblico dipendente che si è distinto per la sua prestazione lavorativa e per i risultati raggiunti.
Lo stesso articolo del CCNL ha determinato alcuni criteri generali per il passaggio da una posizione economica all’altra all’interno della stessa categoria, quali ad esempio l’esperienza acquisita, i risultati ottenuti, le prestazioni rese, la qualità della prestazione, l’impegno individuale, l’arricchimento professionale, le modalità di rapporto con l’utenza, ecc., che sono integrati con le specifiche regole dei contratti decentrati, soprattutto per la parte riguardante i meccanismi di valutazione.
Le progressioni economiche orizzontali possono essere finanziate solo con le risorse stabili de1 fondo destinato alle risorse decentrate, per cui la loro applicazione determina una riduzione della parte stabile del fondo. Lart. 9, comma 1, del CCNL del1’11 aprile 2008, invece, ha introdotto un meccanismo teso ad indebolire l’istituto della progressione orizzontale, secondo la disciplina dell’art. 5 del CCNL 31 marzo 1999, stabilendo che il lavoratore deve essere in possesso del requisito di un periodo minimo di permanenza nella posizione economica in godimento, pari a ventiquattro mesi, per poter essere ammesso a partecipare alla procedura per il conseguimento di quella successiva.
La deliberazione n. 4/2012/PAR della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Basilicata ha evidenziato che: “nel periodo dal 2011 al 2013 non sembra che possano essere disposte progressioni orizzontali con effetti economici che siano relative a tale periodo e con decorrenza compresa nello stesso arco di tempo, e ciò per effetto, oltre che del dispositivo di cui al … comma 21, anche della norma contenuta nel primo comma del d.l. n. 78/2010, che inibisce che il trattamento economico complessivo dei dipendenti sia superiore a quello ordinariamente spettante per il 2010 (fatte salve le eccezioni ivi previste)”.
Successivamente, per effetto dell’art. 16, comma 1, lett. b), del dl. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111/2011, & stato emanato il d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, che ha disposto all’art. 1, comma 1, lett. a), del medesimo d.P.R., l’estensione fino al 31 dicembre 2014 del blocco delle progressioni orizzontali dei dipendenti pubblici. Il blocco imposto dal d.l. n. 78/2010 non è stato ulteriormente prorogato, per cui a partire dall’anno 2015 è venuto meno il divieto di attivazione delle progressioni orizzontali.
E’ importante precisare che, in base al principio stabilito dall’ordinanza n. 794 del 20 maggio 2013 del Tribunale di Reggio Calabria, le progressioni orizzontali non costituiscono un diritto intangibile da parte dei lavoratori, neanche quando è trascorso un lungo lasso di tempo, nel senso che le Amministrazioni Pubbliche possono sospendere i loro effetti, rimettendoli ad un ordinanza del giudice del lavoro, qualora siano state concesse in violazione dei contratti collettivi decentrati integrativi.
Tema delle progressioni orizzontali,
Sul tema delle progressioni orizzontali, risulta interessante anche il parere della Ragioneria dello Stato n. 49781/2017, il quale, richiamando il parere ARAN n. 7086 del 13 settembre 2016 e la nota del Dipartimento della Funzione pubblica n. 7259 del 5 febbraio 2014, ha evidenziato che:
a) i beneficiari delle progressioni devono rappresentare una quota limitata dei dipendenti;
b) la decorrenza giuridica ed economica delle progressioni non può essere anteriore al primo gennaio dell’anno in cui risultano approvate le graduatorie;
c) gli oneri per le progressioni devono rinvenire in modo esclusivo dalla parte stabile del fondo per la contrattazione decentrata integrativa. Si precisa che le disposizioni dei citati artt. 23 e 24 del d.lgs. n. 150/2009, e s.m.i. non sono direttamente applicabili agli enti del Comparto Regioni Autonomie locali, sia pur questi devono adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti nel testo della norma, né si può sostenere che le disposizioni sulle progressioni verticali siano tra quelle derogabili dai medesimi enti.
Sorge, inoltre, un altro dubbio: il Testo unico degli Enti locali (d.lgs. 267/2000) prevede, all’articolo 91, la possibilità, per gli enti non strutturalmente deficitari, di poter assumere attraverso concorsi riservati al personale interno, in relazione a particolari professionalità acquisibili esclusivamente all’interno degli enti stessi, mentre all’articolo 1, comma 4 si osserva che, ai sensi dell’art. 128 della Costituzione, le deroghe all’ordinamento delle Autonomie locali si possono introdurre solo mediante espressa modifica delle sue disposizioni, e ciò non si è verificato con l’articolo 91.
Si pone in evidenza che i giudici del TAR Campania, sez. V, con la sentenza n. 115 del 12 gennaio 2012, hanno accolto il ricorso di un aspirante candidato alla posizione di Comandante di Polizia municipale, avverso gli atti con cui un’amministrazione comunale, dopo aver previsto l’istituzione in dotazione organica di un posto di categoria D1 relativo alla ratifica di Comandante del Corpo di Polizia municipale, deliberava di procedere alla copertura del predetto posto con ricorso ad una procedura selettiva interna, per titoli ed esami, con attribuzione di diverso profilo professionale per professionalità acquisita esclusivamente all’interno dell’ente, pronunciandosi nel senso che la prevalenza ormai della tesi dell’implicita abrogazione dell’art. 91 TUEL per effetto dell’art. 62 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, e che neppure può sostenere la tesi, nella fattispecie, di progressione all’interno della medesima categoria, atteso che alla provvista del posto di Comandante del Corpo di Polizia municipale, per la posizione di spicco rivestita all’interno della struttura burocratica dell’ente comunale, non può attendersi ricorrendo ad una mera progressione orizzontale, attraverso l’attribuzione di un diverso profilo, all’interno della medesima categoria, ma necessariamente impone l’effettuazione di una procedura concorsuale aperta all’esterno in relazione alla quale la pregressa qualifica di dipendente dell’ente non ha grande rilievo.
Poi l’articolo 62 del decreto legislativo numero 150 del 2009 ha modificato l’art. 52 “Disciplina delle mansioni” del d.lgs. n. 165/2001, che fino a quel momento non regolamentava gli avanzamenti di carriera. I nuovi commi 1, 1-bis e 1-ter introducono le norme in materia di progressioni fra aree e ne disciplinano le procedure amministrative, richiamando espressamente l’art. 35 “Reclutamento del personale”.
Tali disposizioni creano, pertanto, un collegamento fra gli avanza- menti di carriera interni e le assunzioni di personale dall’esterno, in virtù del disposto secondo cui: “l’assunzione nelle Amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro tramite procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano la misura adeguata l’accesso dall’esterno” (art. 35, comma 1, lett. a), facendo confluire quindi la procedura amministrativa delle progressioni verticali in quella del concorso pubblico, e rappresentano, per gli enti del Comparto Regioni-Autonomie locali, un principio generale dell’ordinamento al quale adeguarsi. Dal 1 gennaio 2010, quindi, si è ridotta la possibilità di effettuare progressioni verticali o di carriera nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni, ivi compresi gli Enti locali.
La disciplina di questo istituto non e più di origine contrattuale, considerato che le regole sono ormai stabilite direttamente dal legislatore e che per sua espressa indicazione, la disciplina contrattuale deve mettere in atto semplicemente le prescrizioni dettate dal d.lgs. n. 150/2009, Altra questione di rilevante interesse è il tema dell’assimilabilità o meno delle progressioni verticali alle c.d. nuove assunzioni.
L’ orientamento giurisprudenziale prevalente degli ultimi anni ha ritenuto che le progressioni verticali determinino comunque una nuova assunzione e sono, pertanto, sottoposte ai vincoli stabiliti dal legislatore, così come gli oneri aggiuntivi, che devono essere quantificati nell’ambito della spesa del personale e dei limiti imposti, dalle leggi finanziarie, alle nuove assunzioni. Il predetto orientamento si è consolidato dopo l’emanazione del parere n. 3556 de l 9 novembre 2005, reso dalla Commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di Stato, sez. III, a seguito di richiesta del Ministero dell’Economia e delle Finanze, finalizzata ad ottenere un consulto inteso ad accertare se i passaggi tra aree fossero inclusi nel blocco delle assunzioni della legge finanziaria.