In una moderna organizzazione è opportuno soddisfare i fabbisogni di personale anche tramite un utilizzo razionale delle risorse interne, in deroga al principio generale stabilito dall’art. 97 Cost. Tale utilizzo costituisce un modo spesso molto efficace per reperire le professionalità più idonee, in quanto formate sul campo; al tempo stesso viene in tal modo premiato il potenziale espresso dal dipendente nel suo percorso lavorativo.
Occorre calare tale approccio nel contesto giuridico vigente nella P.A. ln base all’articolo 97, comma 3 Cost. “’agli impieghi nelle P.A. si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” e in conformità a tale principio, secondo l’art. 35, d.lgs. n. 165/2001 l’accesso ai posti in organico deve avvenire tramite procedure selettive che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno. Secondo l’orientamento consolidato della Corte costituzionale, la regola del concorso pubblico non esclude forme diverse di accesso, purché conformi a “criteri di ragionevolezza”, nonché ai principi costituzionali di buon andamento e imparzialità.
Sono in astratto configurabili “concorsi con riserva”, ma anche “concorsi interni”, a cui accede esclusivamente il personale in forza all’Ente, tuttavia bisogna evitare che questo istituto possa trasformarsi in una forma di automatismo disponendo procedure selettive idonee ad accertare l’attitudine del dipendente di qualifica inferiore.
Al fine di superare i limiti insiti nella selezione “mista” (interni-esterni), con i concorrenti esterni che avrebbero spesso la sensazione di trovarsi di fronte ad una selezione poco trasparente o quantomeno ad un inutile dispendio di energie, l’art. 6, comma 12 della legge n. 127/1997 (la “Bassanini-bis”) ha introdotto i concorsi interni nell’ordinamento degli Enti locali. Tuttavia, di questo strumento è stato fatto un uso forse eccessivo che ha prodotto negli anni un incremento significativo della spesa pubblica, determinando in alcuni enti una sorta di piramide rovesciata nella classificazione del personale.
Con la riforma Brunetta sono state soppresse a partire dal primo gennaio 2010 le disposizioni previgenti in materia di concorsi interni e/o progressioni verticali:
⦁ l’art, 4, CCNL 31 marzo 1999;
⦁ l’art. 91, comma 3, TUEL.
A seguito di tale riforma sono configurabili semmai i concorsi parzialmente riservati agli interni e in base al d. lgs. 163/2001:
i dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. Le progressioni all’interno della stessa area avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti attraverso l’attribuzione di fasce di merito.
Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per I”accesso all’area superiore”. Le Amministrazioni adeguano i propri ordinamenti ai principi desumibili dal d.lgs. n. 150/2009.
I concorsi parzialmente riservati agli interni sono finalizzati a riconoscere e valorizzare le competenze professionali sviluppate dai dipendenti, rivelazione alle specifiche esigenze delle Amministrazioni; pertanto, si ritiene che tali competenze, che danno titolo a godere della riserva stessa,possano essere state maturate solo dal personale che abbia esercitato mansioni afferenti alla categoria immediatamente inferiore rispetto a quella per la quale si bandisce il concorso.
Il regolamento dell’Ente individua i requisiti di accesso e le modalità di applicazione della riserva. Il tetto del 50% può essere riferito alla totalità dei posti da mettere a concorso in un dato esercizio, anziché in uno specifico bando, e con riferimento ad una data categoria e non al singolo profilo professionale: così inteso, l’istituto risulta utilizzabile anche nei piccoli Comuni, seppur caratterizzati da ridotte dimensioni e da posti unici in organico, laddove e assai improbabile quindi, che si possano avviare in contemporanea due assunzioni per uno stesso profilo professionale.
Non mancano tuttavia le opinioni di segno contrario, che riferiscono il tetto in esame al singolo bando. La questione è stata risolta definitivamente dalla Consulta: il 50% dei posti riservati all’esterno nella copertura dei posti vacanti deve essere garantito a livello di singolo profilo professionale e non di programmazione complessiva; non sono possibili compensazioni tra profili diversi né tra procedure svolte in periodi diversi.
Con la riforma voluta da Brunetta in pratica si torna alla situazione pre-Bassanini, quando il concorso con riserva era l’unica possibilità di carriera; in questo modo s’intende evitare che la logica premiale prevalga su un’attenta valutazione delle esigenze organizzative dell’Ente, producendo ingiustificati incrementi di spesa. Con la riforma Madia viene reintrodotto l’istituto dei concorsi interni, seppure in via provvisoria. L’articolo 22, comma 15 del decreto Madia integra la disciplina “a regime” di cui all’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 con una disposizione di natura transitoria alquanto innovativa, nella forma e nella sostanza, valida soltanto per un tempo delimitato: il triennio 2018-2010. La norma transitoria contenuta nel d.lgs. n. 75/2017, art. 22, dispone:
per il triennio 2018-2020, le Pubbliche Amministrazioni, al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno.
Il numero di posti per tali procedure selettive e riservate non può superare il 20 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria e in ogni caso, l’attivazione di dette procedure riservate determina, in relazione al numero di posti individuati una corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno, utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Queste procedure selettive prevedono prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni, l’attività svolta e i risultati conseguiti, nonché l’eventuale supera- mento di precedenti procedure selettive, costituiscono titoli rilevanti ai fini dell’attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore .
Tale norma presenta alcuni profili di rilevante incertezza, pur nell’intento di dare un esito ragionevole alla discussione annosa sulla valorizzazione del personale in servizio.
Viene prevista la possibilità di attivare procedure selettive interamente riservate agli interni per una quota non superiore al 20% delle vigenti facoltà assunzionali, senza dover bandire un concorso pubblico aperto all’esterno.
Tra i requisiti necessari permane il titolo di studio richiesto al lavoratore per l’accesso dall’esterno all’area di destinazione; il regolamento dell’ente pubblico deve specificare le modalità di applicazione del nuovo istituto. Il limite del venti per cento riguarda sia i concorsi che l’intero piano dei fabbisogni che deve indicare in quale area o categoria si intendono concentrare le progressioni verticali, per non più di 1/5 del totale delle assunzioni