Crony Capitalism: l’ambiente truffato

Le politiche ambientali possono essere influenzate dalle grandi lobby?

In diversi settori economici di rilevanza per l’ambiente dominano imprese di grandi dimensioni che hanno un grande potere di mercato; ed è proprio in quegli stessi settori si generano, peraltro, impressionanti ricchezze e redditi individuali.

È significativo che, quando l’Economist ha cercato di definire e misurare il cosiddetto Crony capitalism, cioè il capitalismo clientelare, ne ha individuato la presenza soprattutto in settori che, per l’appunto, hanno grande rilevanza per l’ambiente: petrolio, carbone, acciaio, miniere ecc.

Si può presumere che nuove e più severe politiche ambientali avrebbero l’effetto di ridurre significativamente le rendite di cui godono le grandi imprese che operano in questi settori e, per conseguenza, i redditi elevatissimi che da quelle rendite dipendono. Ciò sembra sufficiente per ipotizzare che quelle imprese metteranno in atto le attività che gli economisti chiamano di “ricerca/protezione della rendita”. Ragione per cui si può citare il caso di scienziati arruolati dalle gigantesche imprese del settore petrolifero per contestare il cambiamento climatico, e si può anche ricordare, sempre nell’ambito dei tentativi di influenzare la pubblica opinione, la persecuzione di cui è stato oggetto, di nuovo negli Stati Uniti, il noto ambientalista e divulgatore Bill McKibben[1].

D’altronde guardando casa nostra è noto che l’Italia è ancora un Paese, insomma, che, oramai nel terzo millennio, non è riuscito a risolvere un problema semplice e banale: quello di fare le pulizie di casa.

Intorno alla mancata soluzione o al ventaglio di soluzioni, il conflitto tra interessi contrapposti, normalmente accettabile nella dialettica economica del mercato e nelle relazioni di questo con la Pubblica Amministrazione, ha assunto forti contenuti di “politicità”.

A proposito di lobby, è recente la notizia sull’Ansa[2] circa un ipotetico scandalo in UE per pagamenti segreti a Ong per lobby green.  Un’inchiesta del quotidiano olandese De Telegraaf[3] parla di contratti riservati, tra cui uno da 700mila euro “per orientare il dibattito sull’agricoltura” dove l’UE avrebbe “pagato segretamente gruppi ambientalisti per promuovere i piani verdi dell’ex commissario Frans Timmermans”.

“Per anni la Commissione Ue ha sovvenzionato” lobby ecologiste per “fare pressioni a favore” del Green deal: “Alle organizzazioni – denuncia il Telegraaf – sono stati addirittura assegnati obiettivi per risultati concreti di lobbying presso eurodeputati e Paesi membri”. Bruxelles avrebbe utilizzato denaro proveniente da “un fondo multimiliardario”. 

Stando al quotidiano olandese, Bruxelles avrebbe “utilizzato denaro da un fondo per sussidi climatici e ambientali da miliardi di euro” per finanziare una “lobby ombra” al fine di portare le politiche green in cima all’agenda europea. Tra gli esempi riportati nell’inchiesta vi è una campagna a favore della contestata Nature Restoration Law, fortemente voluta da Timmermans, e che sarebbe stata “promossa da un’organizzazione coordinata di 185 associazioni ambientaliste”.

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