Tanto lavoro per niente, scrivere un bando di mobilità e blindarlo con il preventivo ottenimento del Nulla Osta è veramente una fatica inutile oltre ad essere uno specchio per le allodole per tutti di dipendenti pubblici di Italia.
Eppure tra le novità del 2019 vi era un indirizzo per una mobilità volontaria più snella rendendola semplificata e più omogeneizzata, limitando le ipotesi di obbligatorietà di espletamento preventivo rispetto alle nuove assunzioni, ed escludendo il rilascio del nulla osta da parte dell’amministrazione di appartenenza e fermo restando l’obbligo di permanenza nella sede di prima assegnazione previsto dall’articolo 35, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001″ (che stabilisce in 7 anni il relativo periodo di effettiva permanenza nella sede di prima destinazione).
In più, si prevede di “assicurare la pubblicità e la trasparenza delle procedure di mobilità anche mediante la previsione dell’obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione e di quello del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri” e l’attribuzione – a parità di merito – di un titolo di preferenza a favore dei soggetti beneficiari delle agevolazioni previste in materia di tutela dei lavoratori con disabilità, nonché ai dipendenti con figli di età inferiore ai tre anni..
Vincolo di permanenza quinquennale nella sede di prima nomina
Il vincolo della permanenza quinquennale nella sede di prima nomina, nelle amministrazioni pubbliche, è superabile attraverso una interpretazione sistematico complessiva degli artt. 1 c. 29 decreto legge 138 del 2011 e 16 legge 183 del 2011 e dei commi 5bis e 5ter art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in materia di pubblico impiego.
L’art.1, comma 29, del decreto legge 138 del 13 agosto 2011 convertito nella legge 148 del 14.9.2011 prevede che: L’art. 1, comma 29, stabilisce, in buona sostanza, che ai pubblici dipendenti si applicano gli articoli 2103 e 2104 del codice civile con riferimento all’esigibilità della prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive secondo criteri ed ambiti regolati dalla contrattazione collettiva di comparto : la norma prevede, quindi, il potere, regolato in sede di contrattazione, di modificare «il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa attraverso lo strumento del trasferimento definitivo o temporaneo».
Su leggioggi.it si evince che l’art. 16 della legge 183 del 12.11.2011 prevede, poi, la ricollocazione d’ufficio del personale in soprannumeroo in esubero nell’ambito della stessa amministrazione, confermando il principio civilistico dell’art. 2103 per cui il lavoratore può essere trasferito, secondo criteri datoriali, da una unità produttiva ad un’altra per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In questo quadro normativo vanno letti i commi 5bis e 5ter dell’art. 35 del decreto legislativo 165/2001, e successive modificazioni, in una interpretazione complessivo/sistematica, non diversamente da quanto avviene in tema di contratti ex art. 1363 c.c.
Il comma 5bis regola la c.d. permanenza quinquennale nella sede di prima destinazione.
L’ obbligo della permanenza quinquennale nella sede di prima destinazione non è obbligo di diritto oggettivo posto a tutela dello stesso ordinamento positivo, ma è vincolo posto a tutela di situazioni giuridiche soggettive della P.A. che, esercitando la sua facoltà/potestà organizzatoria, può farlo valere o meno a seconda delle esigenze organizzative dell’Ente. E’, cioè, un vincolo posto a tutela, non di un interesse generale della comunità, ma di un interesse particolare della P.A. in funzione delle sue variabili esigenze organizzative, tecniche e produttive.
Se il comma 5bis dell’art. 35 avesse, invece, avuto a contenuto un vero e proprio obbligo di diritto oggettivo, inderogabile, dell’ordinamento del p.i. contrattualizzato posto a carico sia del dipendente che dell’amministrazione, l’obbligo temporale di permanenza, come suo rovescio, avrebbe potuto assicurare al dipendente un vero e proprio diritto alla inamovibilità quinquennale dalla sede di prima assegnazione : così non è.
Un obbligo assoluto del lavoratore alla permanenza e, quindi, un suo diritto all’ inamovibilità dalla sede di prima destinazione è assicurato, invece, dal successivo comma 5ter dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, dalla norma cioè sulla c.d. territorializzazione, la quale prevede che l’amministrazione può richiedere come requisito di partecipazione alla procedura pubblica selettiva la residenza dei partecipanti in un determinata zona geografica del Paese.
Allora sì che i concorrenti assunti vanterebbero nei confronti dell’amministrazione il diritto alla inamovibilità di sede, e l’amministrazione, dal canto suo, essendosi specificamente auto- vincolata nel bando di concorso, non godrebbe più di quella discrezionalità nelle scelte di autorganizzazione che le è, invece, riconosciuta nell’ambito della operatività del comma 5-bis dell’art. 35.
Le clausole normative di cui ai commi 5bis e 5ter del decreto legislativo 165 del 2001 vanno, quindi, lette unitariamente in simbiosi ermeneutica.
Solo unitariamente interpretando i commi 5bis e 5ter dell’art. 35, il decreto legislativo 165/2001, che costituisce l’ordinamento del pubblico impiego contrattualizzato, non va in aperta rotta di collisione con le omologhe norme civilistiche sul rapporto di lavoro subordinato. Così, l’interpretazione congiunta dei commi 5bis e 5ter si armonizza con l’art. 2103 c.c. dove, con riguardo sia al contratto a tempo indeterminato che a tempo determinato, si dice “Egli (il prestatore di lavoro) non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo”, si dice, cioè, che il lavoratore privato non ha diritto ad una inamovibilità nella struttura lavorativa di prima assegnazione, ma può essere trasferito per esigenze, tecniche, organizzative e produttive.
Il che equivale a dire, sul piano ordinamentale specifico del d.lgs. 165/2001, che l’obbligo di permanenza minima nella sede di prima destinazione è un obbligo, derogabile, di permanenza condizionato alle esigenze organizzatorie della P. A., la quale può rimuoverlo per ragioni tecniche, organizzative e produttive dell’Ente. E il richiamo all’articolo 2103 C.C. viene operato non solo per una esigenza ermeneutica, ma anche per effetto dell’art. 1, comma 1 lett. c), del d.lgs. 165/2001, che pone il principio dell’applicazione, nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di condizioni uniformi rispetto al rapporto di lavoro privato, e per effetto dell’art. 2, comma 2, dello stesso decreto in forza del quale i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, del titolo II, del libro V del codice civile, e quindi anche dall’art. 2103, “fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto che costituiscono disposizioni a carattere imperativo” : e l’art. 2103 C.C., che consente il trasferimento del prestatore di lavoro da una unità produttiva ad un’altra per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, è norma che non contrasta con una “diversa disposizione” imperativa del decreto 165, ma che, invece, collima con l’interpretazione sistematica qui data al combinato disposto dell’art. 5bis e dell’art. 5ter del decreto legislativo 165/2001, in un quadro complessivo/sistematico con gli artt. 29, c.1, decreto legge n.138 del 13.8.2011 e 16 legge n.183 del 12.11.2011.
In ogni caso, il vincolo della permanenza quinquennale è da considerarsi ormai venuto meno in virtù dell’ art. 2 del Dl n. 95/2012 (sulla spending review), che ai commi 12 e 14 ha disposto che il personale in esubero, anche in caso di eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o finanziarie dell’amministrazione, sia posto in disponibilità biennale ai sensi e per gli effetti del comma 8 dell’art. 33 novellato del d.lgs. 165/2001, in deroga al comma 3 dell’art. 16 della legge di stabilità per il 2012 n.183 del 12 novembre 2011.
L’arroccamento delle amministrazioni sulla vecchia interpretazione letterale del comma 5bis dell’art. 35 del d.lgs. 165/2001 è da attribuire a pigrizia mentale e a deresponsabilizzazione della dirigenza pubblica che conserva quel vizio atavico ( lo dice uno che di amministrazione pubblica si intende avendo anche ricevuto un premio di qualità per i cambiamenti apportati nella propria unità organizzativa) di muoversi a passo di elefante prima di cambiare indirizzo d’azione e adeguarsi alle novità.