Mobilità compensativa e interscambio

La procedura dell’interscambio, detta mobilità compensativa è stata prevista dall’art. 7 del D.P.C.M. n. 325 del 5 agosto 1988,  che sancisce: “E’ consentita in ogni momento, nell’ambito delle dotazioni organiche di cui all’art. 3, la mobilità dei singoli dipendenti presso la stessa od altre amministrazioni, anche di diverso comparto, nei casi di domanda congiunta di compensazione con altri dipendenti di corrispondente profilo professionale, previo nulla osta dell’amministrazione di provenienza e di quella di destinazione”.

Tale disciplina, quindi, prevede la possibilità, purché esista l’accordo delle amministrazioni di appartenenza ed entrambi i dipendenti posseggano un corrispondente profilo professionaleovvero svolgano le medesime mansioni. Anche in caso di identico mansionario e di identico comparto, è sempre necessario il nullaosta da parte dell’amministrazione di appartenenza. A questo punto, è opportuno ricordare che il D.P.C.M. è un atto legislativo di secondo grado, un provvedimento previsto dall’art. 17 della legge n. 400 del 1988, ed il primo comma sancisce che viene emanato in forma di decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro 90 giorni, e al pari di ogni decreto ministeriale può disciplinare: l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi nonché dei regolamenti comunitari; l’attuazione e l’integrazione di leggi e dei decreti legislativi; le materie in cui manchi la disciplina delle leggi; l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni.

Fatta questa premessa, occorre constatare se questa normativa sia ancora vigente e se sia motivo di antinomia con la disposizione normativa di rango primario, ossia con la Legge n. 26/2019, ove l’art. 14 bis prevede il vincolo della permanenza del dipendente presso la sede di prima nomina.

Rispondendo al primo quesito, possiamo dire che il predetto regolamento dava attuazione al D.P.R. n. 268/87 , quest’ultimo entrato in vigore il 12.07.1987, recepiva l’ormai superato CCNL del personale dipendenti degli EELL relativo al triennio 1985-1987, il cui art. 6, comma 20 espressamente prevedeva:  « è consentito il trasferimento del personale tra enti diversi, a domanda del dipendente motivata e documentata e previa intesa delle due amministrazioni, anche in caso di contestuale richiesta da parte di due dipendenti di corrispondente livello professionale.(…). E’consentito altresì il trasferimento di personale tra gli enti destinatari del presente decreto e tra questi e gli enti del comparto sanità, a domanda motivata e documentata del dipendente interessato, previa intesa tra gli enti e contrattazione con le organizzazioni sindacali, a condizione dell’esistenza di posto vacante di corrispondente qualifica e profilo professionale nell’ente di destinazione».

Il D.P.R. 286/1987, in questione è stato abrogato a far data dal 5 giugno 2012 dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo”, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35. (Cfr tratto dall’articolo la mobilità in particolare la mobilità volontaria di Mariagrazia Caruso).

Quindi sembra, ad oggi, che l’istituto della mobilità “per interscambio”, sia stato abrogato.

Ma è proprio così?  In realtà, con l’abrogazione della disposizione contrattuale di cui all’art. 6, c. 20, del D.P.R. 268/1987, non preclude alle amministrazioni locali di poter attivare una mobilità reciproca o bilaterale con altre amministrazioni locali in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 6 del D.lgs 165/2001, in base al quale “Le amministrazioni pubbliche curano l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale”. A conferma, sul punto, si riporta un orientamento interpretativo che ha ritenuto non preclusa la possibilità di attivare una mobilità reciproca o bilaterale tra amministrazioni locali solo a condizione della completa osservanza di una serie di cautele che il legislatore ha imposto al fine di ridurre la spesa per il personale delle amministrazioni pubbliche e di turn over. (Cfr Sez. reg.le Veneto, delib. n. 65/2013; Corte Conti Sez. Controllo Veneto del consiglio delib. 4 febbraio 2013 Sez. Controllo Friuli Venezia Giulia delib. del 3.6.2014).  Tuttavia, il ricorso a detta procedura deve essere accompagnato da una serie di cautele tese ad evitare che possano essere elusi i rigidi vincoli imposti dal legislatore in materia di riduzione della spesa per il personale delle amministrazioni pubbliche e di turn over. In tal senso, abbiamo un orientamento giurisprudenziale consolidato che assume rilievo per gli Enti locali in materia di mobilità per interscambio, affermando che tale tipologia di mobilità, così come previsto dall’art. 7 del D.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, può essere consentita, purché venga rispettato il principio della neutralità finanziaria, solo tra due dipendenti appartenenti a “profili professionali corrispondenti”. (Cfr CdC SSRR n. 59/CONTR/2010Sez. regionale di controllo per l’Umbria, deliberazione n. 71/2016/PAR dell’8 giugno 2016).

Come si può notare, la giurisprudenza in materia di mobilità nel corso del tempo ha concordemente affermato alcuni principi e unitamente alla normativa, nel caso d’interscambio rilevano i seguenti punti: l’ente deve osservare i vincoli di spesa del personale imposti dalla normativa vigente (art. 1, c. 557, per gli enti soggetti al patto e c. 562 per gli enti minori ed art.76, c. 7, del D.L. 112/2008; la mobilità deve avvenire tra enti soggetti entrambi ai medesimi vincoli assunzionali (nel caso in specie enti locali); l’interscambio deve avvenire tra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale; – l’interscambio deve avvenire entro un periodo di tempo congruo (contestualità) che consenta agli enti di non abbattere le spese di personale (derivanti dalla cessione del contratto del dipendente transitato in mobilità ad altro ente) qualora l’assunzione del dipendente in entrata slitti dal punto di vista temporale rischiando di traslarsi all’esercizio successivo; il personale soggetto ad interscambio non deve essere stato dichiarato in eccedenza o sovrannumero ai sensi dell’art. 33 del D.lgs 165/2001 e dell’art. 2 commi 11, 12 e 13 del D.L. 95/2012; l’interscambio deve assicurare ad entrambe le amministrazioni interessate una necessaria neutralità finanziaria.

Da questi principi si evince l’intento prioritario del legislatore con la disciplina della mobilità, ossia evitare incrementi incontrollati della spesa di personale, non solo in relazione al singolo ente ma all’intero comparto, in modo da evitare che il trasferimento per mobilità possa essere utilizzato quale operazione volta ad instaurare nuovi rapporti di lavoro al fuori dei limiti numerici e di spesa previsti dalla disciplina vigente.  Tutto ciò conferma che la disciplina dell’interscambio, oltre ad essere vigente non si pone in antitesi con la normativa prevista dall’art. 14 bis della Legge n. 26/2019, in quanto la possibilità di esercitare lo scambio di risorse non comporta per l’amministrazione nessuna perdita, sia sotto il profilo oggettivo con la sfera economica che su quello soggettivo con la risorsa del personale. Infatti, l’interscambio deve inoltre avvenire fra dipendenti appartenenti alla stessa qualifica funzionale potendosi utilizzare per tale verifica il Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 26 giugno 2015 (GU Serie Generale n.216 del 17-9-2015) contenente la definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale. In particolare occorre verificare se i richiedenti impiegati presso le diverse amministrazioni di appartenenza forniscano prestazioni qualitativamente corrispondenti non solo in astratto, in ragione dell’identità di posizione economica, ma anche in concreto dovendo risultare interscambiabili senza costi organizzativi aggiuntivi per le amministrazioni datoriali. Tuttavia, va ricordato che l’amministrazione deve rilasciare il nulla osta per poter concedere agli istanti l’interscambio, e pur non potendosi configurare un diritto del dipendente alla predetta mobilità, laddove ci fosse il rigetto è senz’altro possibile ricorre al giudice per sindacarne il consenso negato. In merito è intervenuta a giurisprudenza affermando che: “In assenza, infatti, di validi motivi ostativi alla base del consenso negato si deve ritenere che il dipendente abbia diritto al trasferimento” (Cfr  Tribunale di Agrigento, 26 marzo 2004 Giudice L. Gatto).

Alla stregua di quanto esposto, la disamina della tematica può essere conclusa affermando che le amministrazioni non possono essere restie a voler applicare la mobilità per interscambio, in quanto tale strumento si pone nell’ottica di migliorare la razionalizzazione delle risorse, dell’efficienza, principi previsti proprio dal testo unico del pubblico impiego. L’interscambio è un ottimo sistema per coniugare le proprie esigenze personali e professionali con quelli dell’amministrazione, in quanto lo svantaggio dovuto alla perdita di una risorsa per l’amministrazione è nullo! Questo è uno dei motivi cardini per cui una pratica di mobilità compensativa ha maggiori probabilità di successo rispetto alla mobilità volontaria, proprio perché non si pone in antinomia né con l’art. 14 della 26/2019 e né con il comma 5 bis dell’art. 35 del d.lgs. 165/2001, anzi con lo scambio di sedi lavorative tra i lavoratori chi ne beneficia è soprattutto l’amministrazione, la quale acquisisce risorse lavorative vicine  al suo territorio, ne consegue il miglioramento delle perfomance dei suoi dipendenti  che riducono i tempi di attesa per raggiungere il posto di lavoro, e da ciò anche l’ambiente ne beneficia con la riduzione dell’inquinamento per diminuzione dei trasporti.

@ copywriter salvisjuribus.it   del Dr. Francesco Piazzolla